È lunga la strada che dal lago Titikaka porta fino a Cuzco. Per raggiungere la sierra meridionale bisogna prima fluttuare su questo immenso pianoro, che nella geografia locale viene indicato con la parola Altiplano, quasi fosse un eponimo eroe mitologico.
Si tratta di un’immensa area che da Arequipa passa per Puno e giunge fino al passo La Raya, l’apogeo del percorso, con i suoi 4335 metri sopra il livello del mare. Qui, il ghiacciaio lambisce l’unica strada asfaltata, "mentre a poca distanza una improbabile linea ferroviaria quasi in disuso incarna Davide contro il gigante Golia, nella sua lotta quotidiana contro il vento che sferza i visi e gonfia le giacche impermeabili dei turisti''.
Gli occhi corrono a destra e a sinistra, ma incontrano solo le scenografie naturali offerte dalle vette imbiancate di neve delle catene montuose. Siamo in alta quota, in mezzo a questo acrocoro delimitato dalle Ande. A sinistra le cime appartengono alla Cordillera Occidental, che da lì a qualche centinaio di chilometri darà vita alla maestosa Cordillera Blanca, un insieme di montagne che superano i 6000 metri e che costituiscono il punto più alto raggiunto da tutto il continente americano. A destra invece siamo al cospetto dell’anticamera della Cordillera Oriental, il cui fianco destro spiana soavemente e intanto, piano piano, si trasforma nella Foresta Amazzonica.
Mi perdo totalmente a fantasticare sull’agognata meta, e mi chiedo cosa mi sarei perso se avessi deciso di raggiungere Cuzco non via terra, ma tramite l’aereo, con un comodo volo dalla capitale. Avrei risparmiato tempo, è vero, ma avrei superficialmente rinunciato alla qualità per la quantità. Sarei stato catapultato in una sorta di universo parallelo,
"colorato dal verde dei cancelli della Foresta Amazzonica e dal marrone dei mattoni delle casupole che puntellano ogni angolo visibile di questa conca naturale."
Avrei sorvolato senza fatica la catena andina e sarei passato dalle onde minacciose dell’Oceano Pacifico, che insistentemente battono la costa della capitale, ai 3400 metri del piccolo aeroporto di questa città. Fortunatamente avrò coscienza di queste considerazioni solo tra un po’ di giorni, quando lascerò le alture del Perù meridionale per l’arido deserto di Atacama.
Dopo il passo La Raya la strada inizia a scendere, e il marrone degli spogli pendii delle montagne, macchiato dai bassi arbusti continuamente sferzati dal vento, lascia pigramente il posto ai primi alberi e alle verdi vallate della sierra. Bastano pochi minuti concentrati sulla lettura di un libro che il paesaggio subisce notevoli trasformazioni, fino a diventare fitto di una rigogliosa vegetazione, e come sottofondo il rumore dell’acqua corrente. Siamo sulla strada che corre parallela all’alveo del fiume Urubamba: nasce su una di queste montagne, e corre lungo tutta la Valle Sacra degli Inca, lambisce i piedi di Machu Picchu e si getta infine nel Rio delle Amazzoni.
Quasi non ci si accorge di arrivare in città. Questo continuo tiro alla fune tra verde e marrone inizia a pendere a favore del secondo. Ma non è più una questione di brulli pendii, ma opera dell’uomo. Google Maps mi dice che mancano ancora svariati chilometri prima della città: com’è possibile che già da qui ci siano le tracce della presenza umana?
"Sono enormi distese di catapecchie, slum in salsa sudamericana, abitazioni senza servizi igienici né acqua, luce e gas."
Ufficialmente ci vivono 300.000 persone, ma bisogna capire dove gli statistici abbiano iniziato a contare.
Si pensa a Cuzco e viene in mente la simbiosi perfetta tra uomo e Natura; si pensa all’impero Inca e viene in mente Macchu Picchu, solitario, lassù sulle cime dei monti e nascosto dagli alberi secolari che là sono di casa. E allora cos’è questo smog quasi insopportabile che mi riempie i polmoni? Cos’è questo rumore continuo e assordante a cui nessuno, tranne io, sembra farci caso? È il traffico delle grandi metropoli, con una colonna sonora di clacson e frenate, accelerazioni improvvise per competere nel poco spazio lasciato libero dalla macchina davanti. Sono sguardi nervosi e febbrili negli specchietti retrovisori, per evitare i fatiscenti tuk-tuk che appaiono dal nulla e sfrecciano in questo crogiolo di smog e rumore.
Per fortuna che a pochi chilometri di distanza le tracce del glorioso impero Inca sono rimaste quasi intatte.
"Qui a Cuzco c’è solo l’ombra di Pachacutec, ma là, verso nord, nella Valle Sacra, è forte il richiamo del passato. Ma questa è tutta un’altra storia..."