Self drive in Botswana, Zambia e Namibia tra parchi deserti e cascate
Finalmente è arrivata l'ora della partenza. Noleggio una Toyota Hilux completamente equipaggiata per viaggiare in autonomia e dopo circa milleduecento chilometri su ottime strade asfaltate eccomi a Kasane, in Botswana.
Il Botswana è a ragione considerato uno dei paradisi naturalistici del continente. Qui un’avveduta politica ha limitato al massimo i danni del turismo di massa, garantendo al visitatore il contatto con una natura incontaminata.
Ne è la riprova il fatto che guidando su una delle direttrici principali del paese, la A33 verso nord, è più facile vedere elefanti e giraffe attraversare la strada che una mandria al pascolo.
Kasane è nota per essere la porta d’ingresso al Parco Nazionale Chobe, con il suo meraviglioso river front, e tappa verso le Cascate Vittoria. Attraverso il fiume Zambesi a bordo della chiatta che ancora per poco rimane l’unico mezzo di collegamento con lo Zambia (è prevista a breve la costruzione di un ponte) e raggiungo Livingstone, città che prende il nome da uno dei più grandi esploratori di sempre, il primo uomo bianco nel XIX secolo a raggiungere queste terre.
L’affaccio sulle Cascate Vittoria, che in alcuni punti permette di toccare quasi con mano l’enorme massa che precipita a valle nella gola del fiume, è impressionante soprattutto in questa stagione, perché a causa dell’alto livello del fiume si viene letteralmente investiti dalla nube d’acqua. Ma ancor più emozionante è trovarsi in mezzo al fiume a bordo di un gommone da rafting.
Tornato a Kasane raggiungo il fiume Chobe. Interi branchi di animali vengono ad abbeverarsi e a rinfrescarsi in questo fiume che segna il confine nord dell’omonimo parco, rendendolo uno dei migliori luoghi del continente africano dove ammirare gli elefanti mentre giocano e i bufali migrare di isola in isola. A questi si aggiungono ippopotami, coccodrilli e una ricchissima avifauna.
Sgonfiati i pneumatici della Toyota, che come previsto si sta rivelando un’ottima compagna di viaggio, parto in direzione sud verso le sabbiose piste del Parco Chobe circondato da branchi di zebre, giraffe, antilopi ed elefanti. Una lunga cavalcata mi porta all’ingresso del Parco Moremi, nel delta dell’Okavango, che con i suoi canali, stagni e acquitrini è considerato uno dei parchi più incontaminati del continente. Dead Tree Island, Paradise Pools, Third Bridge sono solo alcuni degli innumerevoli punti del parco dove perdersi per giorni alla ricerca della fauna, abbondante ma spesso sfuggente.
In Namibia, tra parchi naturali, scenografici deserti e villaggi di etnia Himba
Ma è tempo di proseguire e, dopo il necessario pit stop a Maun, mi dirigo a nord ed entro in Namibia nella zona del dito di Caprivi, di antica memoria coloniale. Qui l’escursione in mokoro (la tipica canoa locale) sul fiume Kwando segna l’addio alle foreste umide del nord. Mi addentro nella Bushmanland, la terra dei bushmen o san, i boscimani, considerati i primi veri abitanti del continente africano. La loro cultura tradizionale va progressivamente scomparendo ma, accompagnato da una guida locale, scopro che grazie a realtà come le Conservancy e i progetti avviati da varie Ngo le antiche conoscenze di questi cacciatori-raccoglitori hanno assunto nuova linfa vitale. La giornata finisce nel bush, dove trascorro la notte in completa solitudine sotto l’enorme baobab del Makuri camp.
Il giorno seguente raggiungo il Parco Etosha, il più grande del paese, perfetto per il self drive perché di solito basta un’attesa di pochi minuti intorno a una delle tante pozze per ammirare la grande varietà di fauna presente.
La tappa successiva è la remota regione del Kunene, nell’estremità nord occidentale del paese. A Opuwo ingaggio una guida Himba e, percorrendo la strada verso le Epupa Falls in prossimità del confine con l’Angola, visito diversi villaggi Himba, villaggi Herero e Xaoba. Da un punto di vista antropologico è senz’altro il momento più emozionante del viaggio.
Si riparte, questa volta in direzione sud. Superata l’area di Sesfontein, la savana lascia progressivamente il posto al deserto che si fa sempre più arido mano a mano che ci si addentra nella regione del Damaraland. Qui Twyfelfontein, con le pitture rupestri realizzate dai boscimani oltre mille anni fa e ottimamente preservate dal clima secco del deserto, è uno dei luoghi più famosi del paese, inserito dall’Unesco tra i beni patrimonio mondiale dell’umanità. Non lontano, nei pressi del massiccio Brandberg, il monte più alto della Namibia, una bella escursione alle prime luci dell’alba con la guida a bordo mi permette di ammirare gli elefanti del deserto, uno dei rari branchi adattati alle condizioni estreme di questo habitat tra i più aridi del pianeta.
La mitica Skeleton Coast è ormai vicina e decido di raggiungerla con una delle D road (strade secondarie) più spettacolari e remote del paese. È un susseguirsi di alte montagne piatte, brulle colline e rocciose pianure a perdita d’occhio che assumono mille colori a testimonianza della complessità geologica di quest’area, dove per oltre duecento chilometri non incontro traccia di essere umano. Poi finalmente, lontano all’orizzonte e preceduta da vaste distese di sale, ecco la Skeleton Coast costellata dai relitti delle centinaia di naufragi che l'hanno resa famosa.
Imboccata la strada di sale che la percorre da nord a sud, mi dirigo verso Cape Cross, dove vive una delle più grandi colonie di foche del mondo. Da qui procedo sempre verso sud e sono nella teutonica Swakopmund. Dopo tanto deserto e solitudine è quasi un sollievo passeggiare per le animate vie cittadine, godere dei suoi freschi viali alberati e della sua frizzante aria di mare. Pur essendo uno dei principali centri turistici del paese, la zona è ancora a misura d’uomo ed è piacevole spenderci qualche ora in più del previsto. Decido di partecipare a un’escursione in fuoristrada, la destinazione è Sandwich Bay, una laguna dove il verde brillante della vegetazione, il blu delle acque e il rosa dei fenicotteri fa da contrasto con le alte dune che si distendono a perdita d’occhio. Esperienza indimenticabile per la spassosa cavalcata in fuoristrada su e giù dalle dune e per il panorama che si gode dalla cima più alta.
Dalla Welwitschia Drive alla Sossusvlei, la zona più famosa del deserto del Namib
Alle spalle della città, la Welwitschia Drive è un susseguirsi di paesaggi lunari, preludio delle meraviglie che mi aspettano nel sud del paese a iniziare dall’area di Sossusvlei, la zona più famosa del deserto del Namib. Qui la partenza in piena notte, appena aperti i cancelli, permette di godere del sorgere del sole da una delle alte dune che lambiscono la strada, come la rinomata 45 (ogni duna è denominata in base alla distanza dall’ingresso del parco). Per quanto difficilmente si sarà da soli, consiglio di non perdere la salita su Big Daddy, la più alta della zona; splendidi i panorami sul deserto e sul Dead Vlei con il forte contrasto tra il bianco abbacinante della sabbia nella valle punteggiata da alberi pietrificati e il rosso delle dune circostanti.
Si riparte, destinazione Luderitz, nota per essere stata il primo centro colonizzato dai tedeschi e ora visitata prevalentemente per la vicina città abbandonata di Kolmanskop, le cui case semisommerse dal deserto raccontano un’importante pagina della storia del paese: quella febbre dei diamanti che dalla seconda metà del XIX secolo sconvolse questa parte del continente richiamando ogni sorta di avventurieri, truffatori e disperati in cerca di fortuna.
Dopo oltre settemila chilometri, sono all’ultima tappa. Il Fish River Canyon, spesso trascurato negli itinerari del paese, si rivela una gradita sorpresa con panorami che non hanno nulla da invidiare a quelli del Grand Canyon, il suo ben più celebre cugino americano.
Un ultimo balzo e sono a Johannersburg, dopo circa novemila chilometri in gran parte percorsi lungo le piste dei parchi o sulle gravel road namibiane. Il viaggio è finito. Lo consiglio ad ogni amante della natura selvaggia, del campeggio e della guida in fuoristrada, perché capace di donare emozioni forti e di riaccendere lo spirito di avventura in ognuno di noi.
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