In camper nei Balcani tra la Bosnia Erzegovina e il Montenegro
Approdiamo a Spalato una mattina uggiosa di inizio maggio, prima tappa croata di questo viaggio in camper nei Balcani attraverso la Bosnia Erzegovina e il Montenegro. Tra le stradine del centro storico osserviamo il lento viavai di una città che si è appena svegliata, l’architettura conserva tracce evidenti di quattro secoli di dominazione veneziana.
Dopo una breve sosta a Dubrovnik - che ammiriamo dall’alto delle antiche mura difensive, austera sotto la pioggia battente - ci dirigiamo verso la Bosnia Erzegovina.
L’ingresso nel paese è preceduto dalla lentezza dei controlli doganali e inaugurato dalla regolare successione di piccoli cimiteri di lapidi nere ai lati delle strade. In un attimo, sotto questo cielo senza nuvole, il pensiero della guerra ci coglie impreparati.
Arriviamo a Mostar, città fondata nel XV secolo dai turchi ottomani. Il viaggiatore che volesse includerla tra le proprie mete non sbaglierebbe: il centro storico è un piccolo gioiello e la vista che si gode dallo Stari Most, il Ponte Vecchio ricostruito dopo il crollo del 1993, vale da sola la visita.
Lo Stari Most fu commissionato da Solimano il Magnifico e costruito dall’architetto Hajrudin Mimar, che riuscì nella strabiliante impresa di incastrare milleottantotto blocchi di tenelija, la roccia calcarea locale, in un arco a campata unica (1557-1566). Fu bombardato per due giorni dalle milizie croate finché, il 9 novembre, la “luna crescente di pietra” crollò nel fiume Neretva (la romantica definizione è di un poeta islamico del XVI secolo). C'erano voluti nove anni per costruirlo e la promessa di una condanna a morte in caso di fallimento, per questo Mimar scappò prima che venissero tolte le impalcature senza aspettare di vedere il risultato finale, e nessuno ebbe più sue notizie.
"I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire". Questa frase di Churchill, letta chissà dove, mi torna in mente proprio quando Miran, la nostra giovanissima guida, prova a spiegarci l’intricato e atroce conflitto che ha coinvolto il paese. Colpiscono i toni concilianti e privi di rancore verso i vecchi nemici, il continuo ripetere che andrebbero raccolti tutti i punti di vista prima di formarsi un’opinione, ma tra chi ascolta serpeggia la sensazione che il perdono sia in realtà ancora molto lontano.
Sarajevo, città cosmopolita e multiculturale, inafferrabile e contraddittoria
Il cuore di Sarajevo batte all’unisono con il nostro, vivo e forte. Eppure, improvvise e nitide, affiorano dai ricordi le immagini a lungo viste nei telegiornali degli anni Novanta, la città del presente si confonde con quella del passato e mi assale con forza il desiderio di fermare gli abitanti che sciamano lungo le strade per ascoltare le loro storie, una ad una. Ma purtroppo la narrazione della guerra è affidata a pochi e parte da luoghi come il tunnel della vita; costruito durante l'assedio per far passare cibo, armi e persone, il tunnel fu una via di salvezza per molti ed è qui che ci aspetta la nostra guida.
"La guerra ti stampa", esordisce così Armina, che nel suo italiano stentato non avrebbe potuto trovare un incipit più incisivo. All'ingresso del tunnel ci spiega di essere fuggita da Sarajevo dopo due anni dall’inizio del conflitto, ci racconta del suo esilio a Parigi e di come la sua generazione sia rimasta bloccata nel passato, ci parla della sua anziana vicina che ha perduto il marito e i tre figli, vittime dei cecchini in tre punti diversi della città, di quanto ancora soffra. Quella sensazione indefinita provata a Mostar trova conferma nelle sue parole, nonostante il tono mite e privo di rancore è chiaro che per queste persone dimenticare e perdonare è impossibile, soprattutto per la giustizia mai ricevuta. Mentre usciamo, lo sguardo corre su alcuni bambini che sciamano verso l'entrata accompagnati dalle maestre, penso che di questo luogo non potranno comprendere nulla... Ma chi potrebbe, oltre agli uomini che lo hanno scavato affondando nel fango, con addosso il peso della fame e della sete, chi, oltre a coloro che notte dopo notte lo hanno attraversato sperando di uscirne vivi, e liberi. Nessuno oltre loro, credo.
Lasciata la zona del vecchio aeroporto, ci dirigiamo verso il centro. Sfioriamo il Markale con le sue colorate bancarelle di fiori e frutta, mentre la città comincia a svelare il suo fascino d’altri tempi. Affilati minareti svettano nel cielo terso, qui le moschee convivono con la cattedrale ortodossa, la cattedrale cattolica e l'antica sinagoga, a testimonianza di come culture diverse abbiano vissuto in pace per molto tempo.
Avvolti dal dolce profumo dei gelsomini, ci inoltriamo nel colorato quartiere turco. Le stradine della Baščaršija accolgono i visitatori con vivaci bazar, caffè e ristoranti, dalla penombra delle botteghe giunge attutito il rumore degli artigiani che battono il rame. In piazza alcuni uomini giocano una partita agli scacchi giganti.
Proseguiamo lungo il fiume Miljacka sulle cui sponde sorge la Biblioteca Nazionale in tutto il suo splendore, a pochi metri dal Ponte Latino dove avvenne l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo, episodio che scatenò la prima guerra mondiale. Ogni tanto, posando lo sguardo a terra, notiamo le “Rose di Sarajevo”, crateri a forma di rosa scavati dall'impatto tra una granata e l'asfalto, colorati di rosso come il sangue versato.
Lasciamo la città. La periferia ci viene incontro con i suoi casermoni popolari in stile sovietico, le facciate ancora crivellate di colpi, segni ulteriori di un assedio ancora vivo nella memoria di uomini e cose. L'ultima tappa è l'Holiday Inn, sede della stampa internazionale durante la guerra: ristrutturato e dipinto di giallo è irriconoscibile.
Sarajevo ha molto da offrire al visitatore curioso che voglia addentrarsi tra le sue stradine e nei meandri del suo passato. Noi vi consigliamo di visitarla, è una città intrisa di storia, che emoziona ad ogni passo, una destinazione affascinante da includere tra le proprie mete.
In Montenegro tra aspre montagne, laghi glaciali e profondi canyon
Lasciamo la Bosnia Erzegovina all’alba mentre dai minareti di Sarajevo si levano le preghiere dei muezzin, armoniose come un canto. La gola si stringe in una morsa di nostalgia, una di quelle che di solito coglie alla fine del viaggio ma che questa volta gioca d’anticipo.
Siamo diretti in Montenegro - la Montagna Nera - terra di gole segrete e foreste impenetrabili, dove abbiamo in programma numerose tappe in quello che ben presto si rivelerà un piccolo mondo senza sfumature né mezze misure. A mano a mano che ci addentriamo nel paese lo sguardo viene letteralmente calamitato dai fiumi verde smeraldo e dai canyon che sprofondano per centinaia di metri, dalla vegetazione incredibilmente brillante che si alterna a macchie di pini neri come la notte.
Dopo aver costeggiato il canyon del fiume Piva (profondo fino a milleduecento metri), ci dirigiamo verso il Parco Nazionale Durmitor e raggiungiamo Zabljak al tramonto. Il campeggio è immerso in una morbida luce rosa, la neve restia al disgelo fa capolino sulle cime intorno. Nel freddo pungente della sera sorge una luna enorme.
La prima tappa è una tranquilla escursione intorno al Lago Nero, il più grande di diciotto laghi glaciali. Dopodiché andiamo alla scoperta del parco del Durmitor e raggiungiamo alcuni passi in quota in perfetta solitudine; tutt’intorno a perdita d’occhio piccoli alpeggi, prati di crocus in fiore, trasparenti laghetti e le aspre cime delle Alpi Dinariche, colonna vertebrale dei Balcani. Le uniche forme di vita sono i cavalli al pascolo, una vipera che si gode l’ultimo sole della giornata e un camoscio che si staglia sulla cresta della montagna.
Raffiche gelide di Borea, così forti da strappare i pensieri, ci convincono a entrare in un piccolo rifugio dal tetto verde gestito da un gigante che accoglie con tè bollente i visitatori infreddoliti. Nema problema da queste parti.
Ripartiamo verso Kotor costeggiando il canyon del fiume Tara, con i suoi milletrecento metri è il secondo più profondo al mondo dopo quello del Colorado.
In lontananza cominciamo a intravedere le immacolate facciate del Monastero di Ostrog, il santuario ortodosso scavato nella roccia dove riposano i resti di San Basilio. La sua imponenza si rivela appieno solo quando giungiamo sul sagrato; mescolandoci con i fedeli che si dipanano lungo le scale saliamo fino alla nicchia dove riposa il santo, custodito da due vigili, e molto alti, preti ortodossi. Da quassù si gode una vista straordinaria sulla valle di Bjelopavlići e sulle montagne che la circondano.
Infine raggiungiamo Kotor, patrimonio Unesco adagiato sulle rive del fiordo più meridionale d’Europa. Càttaro possiede il fascino senza tempo delle città costruite in pietra, che da queste parti è l’elemento dominante; qui tutto ha un che di duro, una durezza che risuona nella lingua senza vocali e trova eco tra le montagne che precipitano dentro la baia.
Le Bocche di Càttaro sono grandiose. Navighiamo lentamente tra due ali di antichi valloni fluviali invasi dal mare, siamo diretti alla chiesa della Madonna dello Scalpello, che sorge su un’isoletta edificata dai marinai nel corso del 1400. Ogni anno, il 22 luglio, una lenta processione di barche cariche di pietre rievoca la lunga e faticosa impresa. Da lontano, la piccola cupola pare un turchese incastonato nelle nubi di tempesta che si addensano sopra il nostro approdo.
E niente, questa terra arcaica ti cattura, ti incanta con la sua natura a tinte forti, con la sua storia incomprensibile, con la tempra leggendaria dei suoi abitanti.
Il Montenegro è una destinazione in fin dei conti vicina ma sembra un altro mondo, una sensazione che i Balcani ci hanno trasmesso spesso.
Rosalba Biscione Copywriter
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